Capire un tubo: ricostruire un copricapo medievale
Spesso la corretta interpretazione di una fonte iconografica passa attraverso diversi errori, tentativi e fraintendimenti, prima di arrivare a risultati soddisfacenti.
È quello che è successo a noi con la ricostruzione di un capo di abbigliamento tanto singolare quanto comune in Piemonte nei primi anni del XV secolo, un copricapo che abbiamo ribattezzato “il cilindro”, per ovvi motivi. Abbiamo riflettuto a lungo su come poter rendere la singolare forma di questo copricapo. Nell’assenza di reperti, l’unico strumento che poteva aiutarci erano le fonti iconografiche.
Osservando attentamente miniature ed affreschi di diversi autori, siamo potuti arrivare a diverse conclusioni: Il cilindro doveva essere di un materiale abbastanza robusto da permettergli di stare in piedi; Il cilindro non doveva essere chiuso in cima, date le raffigurazioni che lo mostrano anche con spacchi sui bordi, forse per accentuarne l’ampiezza.
La nostra prima interpretazione è stata un semplice tubo di feltro, con l’estremità inferiore arrotolata su se stessa in modo tale da creare lo spessore che si vede nelle miniature. Non un cappello vero e proprio quindi, ma una sorta di copricapo ornamentale finalizzato a slanciare la figura maschile, a suo modo coerentemente con la struttura dei capi di abbigliamento di inizio XV secolo e in modo simile ad altri copricapi femminili. La ricostruzione che abbiamo effettuato inizialmente era abbastanza soddisfacente e rendeva bene la struttura mostrata nelle miniature.
Tuttavia, c’erano ancora alcuni punti che non ci convincevano: non c’era modo di ottenere la forma svasata che si vede in alcune fonti, e il fatto che si trattasse di un copricapo puramente ornamentale non ne spiegava l’utilizzo da parte anche di figure borghesi. Siamo quindi tornati allo studio delle fonti, spostando la nostra attenzione anche su altre figure presenti nelle miniature, che portavano altri copricapi su cui in prima battuta non ci siamo soffermati.
Cappelli simili ai noti “tocchi”, ma la cui struttura era una semplice forma a “pan di zucchero”, con l’estremità inferiore rivoltata a costituirne la falda. Ovviamente, più il pan di zucchero è lungo, più la falda può essere sollevata… Anche a coprire la cupola del copricapo stesso. E dunque, eccoci arrivati alla conclusione: non si tratta affatto di un copricapo diverso, o di un improbabile accessorio ornamentale, bensì dello stesso copricapo visto in altre fonti, che presenta tuttavia molto più materiale utilizzato e la cui forma viene estremizzata a creare l’effetto cilindro. Lo spessore accanto alla testa viene ottenuto ripiegando su se stesso il feltro, in modo tale da adattarlo al capo dell’indossatore, e questo gli conferisce anche la caratteristica forma svasata e leggermente inclinata che si vede in alcune fonti.
Questa interpretazione, che (per ora) troviamo convincente, è confermata anche da altre fonti iconografiche, che mostrano copricapi dalla cui cima della alta falda vediamo spuntare la cupola. In conclusione, questo progetto ci ha confermato un punto che dovremmo sempre tenere a mente: torniamo sempre sui nostri passi, se una ricostruzione non ci sembra convincente è probabile che sia semplicemente migliorabile.